Alberto, oltre che un caro parente è un appassionato bibliofilo e
scrittore fiorentino. Fra le miriadi di cose che ha scritto si annoverano
poesie, testi di narrativa, storici, studi. Per citarne alcuni: Omaggio
a padre Pio la storia dell'incontro di Antonio
Ciccone con Padre Pio; Vita e opere di don Paolo de
Töth, in Adveniat Regnum. Articoli sulla rivista di Studi Cattolici; Il
Gazzettino delle Arti del Disegno di Diego Martelli, 1867. Edizione integrale
con copiosi indici. Contributi alla Storia dei "Macchiaioli."; I
poveri pazzi di "Fede e Ragione", in Giornale di Bordo, dicembre
1968-gennaio 1969. Il Giornale
di bordo nacque nel 1967. Dopo un'interruzione di 14 anni la rivista
ha ripreso il suo corso nel 1997, con periodicità quadrimestrale. Il giornale
di bordo ha un indirizzo prevalentemente storico, artistico e letterario, ed è
soprattutto una rassegna di inediti, fra i quali sono da ricordare scritti di
Prezzolini, Baccio Maria Bacci, Piero Bernardini, Enrico Sacchetti e molti
altri, segnalandosi anche per la documentazione sul Fascismo, la guerra di
Spagna e la R.S.I. Vi collaborano Francesco Bacci e Mino Gabriele, Franco
Cardini. Il periodico è illustrato da opere di grafica di Sigfrido Bartolini e
Giorgio Fortuna.
Qui di seguito, uno stralcio di storia d'Italia da lui narrato scaturito
dall'individuazione nella vicenda del tenente Alberto Faiola, cognome a noi familiare ... ma
la parentela è tutta da dimostrare...
LE RADICI DELLA VIOLENZA
Da un mucchio di vecchi fogli è riemersa
questa ricostruzione dell'avventura del Gran Sasso. Relazione di sapore
giornalistico, non completa - scarna com'è e quasi sempre senza indicazione
delle fonti - ma capace di narrare con tono di verità un fatto clamoroso della
seconda guerra mondiale, ricostruito, nella prima parte, con piglio quasi
cinematografico (soggetto e sceneggiatura) e sequenze ricche del fascino
dell'autentico.
Dalla lettura anche superficiale della cronaca
emergono due circostanze di valore storico: la prima è che nel settembre 1943
Mussolini non intendeva riprendere l'attività politica, e la seconda che
Hitler, per costringerlo a farlo e perciò a favorire i suoi piani, lo fece
sequestrare insieme a tutti i familiari.
I PRECEDENTI
Liberazione e
strumentalizzazione di Mussolini
Dal 25 luglio all'11 settembre 1943
Il 25 luglio 1943 Mussolini viene arrestato
uscendo dall'udienza di Vittorio Emanuele III.
Badoglio,
nuovo capo del governo, proclama: "La guerra continua. L'Italia, duramente
colpita nelle sue provincie invase, nelle sue città distrutte, mantiene fede
alla parola data, gelosa custode delle sue millenarie tradizioni".
Hitler
commenta: "Naturalmente non è che una mascherata per guadagnare qualche
giorno di tempo e consolidare il nuovo regime"; e così, dopo aver
affermato "che in Italia c'è sempre stata aria di tradimento",
aggiunge: "Non so dove sia il Duce. Non appena lo saprò, lo farò liberare
dai paracadutisti".
Il Cancelliere tedesco aveva fatto preparare
un piano contro l'Italia: Quattro operazioni politico-militari dai nomi
convenzionali di:
1. Alarich -
occupazione di Roma e ricostituzione di un fascismo filo tedesco;
2. Eiche -
liberazione e strumentalizzazione di Mussolini;
3. Achse -
annientamento della. flotta italiana;
4. Schwarz -
occupazione della penisola, e decide di metterlo in atto, dirigendolo
personalmente.
Verrà qui narrato lo svolgimento dell'operazione Eiche,
della quale è politicamente investito l'ingegnere Otto Skorzeny, uomo del capo
delle SS e Heinrich Himmler, e militarmente il generale Kurt Student,
comandante l'11° Corpo Aereo. I due si recano alla base aeroportuale di Pratica
di Mare e si mettono alla ricerca di Mussolini.
Mussolini è condotto prigioniero in due
caserme romane dei carabinieri reali - prima in via Legnano e poi in via
Quintino Sella - e la sera del 27 luglio, accompagnato dal capo
della polizia militare del Comando Supremo generale Francesco Saverio Pòlito,
giunge a Gaeta; imbarcato sulla corvetta Persefone, mutata rotta dinanzi a
Ventotene, giunge a Ponza alle dodici del 28 luglio, dove è alloggiato in una
casa isolata.
All'improvviso, il 7 agosto, col
caccia FR 22, è trasportato all'isola della Maddalena e rinchiuso a villa
Weber. Lo custodisce il tenente dei reali carabinieri Alberto Faiola,
già comandante della tenenza di Bracciano, che prende ordini direttamente dal
comandante dell'Arma, generale Bonaventura Cerica. Al Faiola è affiancato Pòlito,
latore di ordini precisi sulla sorte di Mussolini. "Badoglio" scrive
Pòlito "mi aveva dato il mandato di ucciderlo".
Skorzeny, saputo dove si trova il
prigioniero, giunto alla Maddalena, riesce a vederlo da lontano; tornato il 18
agosto in aereo per fotografare i luoghi, viene abbattuto dalla caccia inglese
e si salva.
Hitler, frattanto, anche per dimostrare al
re e a Badoglio che la Germania segue con attenzione le sorti di Mussolini,
provvede a mandargli in dono una voluminosa Opera omnia di Nietzsche che
perviene al duce il 19 agosto insieme a un busto di Federico il Grande,
dono di Göring e una lettera del Feld-maresciallo Albert Kesselring, comandante
dell'armata tedesca in Italia. L'invio dei doni è giustificato come un omaggio
per il sessantesimo compleanno di Mussolini, ricorrente il 29 luglio.
Pòlito, ferito in un incidente
automobilistico, è sostituito nel suo compito presso Mussolini da Giuseppe
Gueli, ispettore generale di PS che ha diretto di recente la polizia di Trieste
e che ha una precisa consegna di Badoglio: "ad ogni costo si deve impedire
che il duce finisca nelle mani dei tedeschi; in caso disperato
fucilatelo".
Intanto Skorzeny e Student, spronati
all'operazione Eiche, sono stati ricevuti da Hitler. Il 27 agosto il
primo torna alla Maddalena dove il 28 viene a sapere che avanti l'alba
Mussolini è stato trasferito in luogo ignoto. È accaduto che Gueli, convinto
della vulnerabilità di quel carcere, ha disposto per l'immediato trasferimento
del duce sul Gran Sasso, in una località cioè, apparentemente inaccessibile.
"La sera del 26 il Ten
Faiola che aveva sostituito il Col. Meoli annunziò al prigioniero:
"Domattina si parte" e l'indomani, 27 agosto alle ore 6 ebbe termine
la prigionia di Mussolini a La Maddalena. Fù un'idrovolante bianco della Croce
Rossa, che aveva stazionato in tutto questo periodo nella rada prospiciente
Villa Webber, che condusse il prigioniero sul lago di Bracciano a Villa di
Valle dove Mussolini proseguì per il Gran Sasso" Cronaca del Dott. Aldo
Chirico testimone
oculare.
Nel pomeriggio del 28 agosto Mussolini è ai
piedi della funivia di Campo Imperatore, in provincia dell'Aquila, alloggiato in
un piccolo albergo alla Villetta del Gran Sasso. Si attende, infatti, che sia
disponibile la sua prigione: un grande albergo sotto la vetta abruzzese. In una
lunga lettera alla sorella Edvige, datata 31 agosto 1943, Mussolini confessa:
"Per quanto mi riguarda io mi considero un uomo per tre quarti defunto. Il
resto è un mucchio di ossa e muscoli in fase di deperimento organico da dieci
mesi a questa parte. Del passato non una parola. Anch'esso è morto. Non
rimpiango niente, non desidero niente". E fra le molte notizie aggiunge:
"in un'isola avevo incominciato - dopo cinquant'anni - il mio
riavvicinamento alla Religione. Se ne occupava un parroco di fama ottima"
- don Salvatore Capula, parroco della Maddalena -."Poi sono partito e la
di lui fatica rimase interrotta. Ad ogni modo, una delle cartelle che tenevo
vicino al lume del mio tavolo a Palazzo Venezia e che ho invano chieste, c'è di
mio pugno un testamento - maggio 1943 - che dice "nato cattolico
apostolico romano, tale intendo morire. Non voglio funerali e onori funebri di
nessuna specie"".
Dal primo pomeriggio del 2 settembre Mussolini
è prigioniero nell'albergo rifugio di Campo Imperatore, a 2112 metri, sotto lo
sperone roccioso del Gran Sasso d'Italia: ampia costruzione littoria a tre
piani, con avancorpo semicircolare, guarda un grande pianoro. Gli è destinato
l'appartamento 201, al secondo piano: camera, salottino, bagno, ingresso e un
ambiente destinato ai custodi. Piccole finestre si aprono sul davanti.
L'edificio è sorvegliato da un corpo di guardia all'ingresso, che dispone dieci
sentinelle in altrettanti posti di guardia che circondano l'albergo come due
anelli. La notte le guardie vengono raddoppiate. Vi sono poi pattuglie
all'esterno. L'armamento è, sul principio, modesto.
Anche questa operazione è diretta
politicamente dal Gueli, in contatto diretto col governo Badoglio, e
militarmente dal tenente Faiola. A Badoglio, che l'ha convocato a Roma
il 5 o 6 settembre, l'ispettore ha dichiarato che non è il caso di trasferire Mussolini.
Badoglio, nel testo del "corto armistizio" con gli anglo-americani
stabilito a Cassibile il 3 settembre, non ha inserito la clausola della
consegna del duce al nemico, nonostante le sue promesse.
L'8 settembre, narra Mussolini, "è salito improvvisamente
l'ispettore Gueli per darmi una tremenda, luttuosa notizia: con un proclama
Badoglio ha annunciato alla radio che l'Italia ha concluso un armistizio con
gli anglo-americani e che quindi la guerra era finita. Sono rimasto
annichilito".
La decisione italiana provoca l'ira di
Hitler, enorme e inaudita. A Rastenburg, a Farinacci sgomento, il Cancelliere
grida: "Un re e un maresciallo d'Italia hanno mentito spudoratamente. Non
più tardi di poche ore fa, essi hanno impegnato la loro parola d'onore sapendo
che era falsa. Un tradimento simile non ha precedenti nella storia dei popoli!
L'Italia è passata al nemico in pieno campo di battaglia". Hitler era
stato, infatti, informato che il suo ministro in Italia, Rudolph Rahn, si era
presentato a Vittorio Emanuele III a mezzogiorno e si era sentito dire,
nonostante che la capitolazione fosse stata concordata fin dal 3 settembre:
"L'Italia non capitolerà mai".
L'ira di Hitler è però molto politica:
anch'egli, che si aspettava questa svolta dell'antico alleato, da tempo aveva
ordinato a Kesselring di arrestare il re, condurlo in Germania, processarlo e
fucilarlo insieme agli altri responsabili della vicenda italiana. Il
Feld-maresciallo però - a sua insaputa ma d'intesa col capo del servizio
segreto germanico, ammiraglio Wilhelm Canaris - si era accordato con il
generale Giacomo Carboni, capo del Servizio Informazioni Militari (SIM) di
lasciar fuggire il re ed i suoi in cambio della consegna di Mussolini. Difatti
il 9 settembre, di prima mattina, Vittorio Emanuele III, coi familiari,
Badoglio e altri ministri militari, fugge a Pescara per imbarcarsi e
raggiungere il territorio
controllato dagli anglo-americani, senza lasciare alcun ordine alle autorità
civili e alle Forze Armate.
Al Viminale, quella mattina del 9 settembre,
rimasto fra i pochissimi a Roma, Senise discute la sorte di Mussolini col
ministro degli Interni Umberto Ricci, rintracciato a fatica. I due concordano
di consigliare Gueli a regolarsi "con prudenza": la formula in
pratica invita a non uccidere il prigioniero in caso di intervento germanico
inteso a liberarlo. L'ispettore è convocato a Roma, ma questi non vi si reca,
sospettando che il Faiola abbia l'ordine di sopprimere il duce: fatto che non
intende permettere.
Il 10 settembre Senise, ritenendo che i
tedeschi non sarebbero riusciti a prendere Roma, telefona al Gueli, annullando
le disposizioni del giorno prima. Quelle ore Mussolini le passa ascoltando la
radio; e annota: "Radio Monaco ha lanciato un proclama agli italiani, in
cui si attacca violentemente Badoglio e si annuncia che è stato costituito un
Governo nazionale Fascista, il quale opera in mio nome. La cosa mi ha lasciato
del tutto indifferente. Molto mi ha turbato invece la notizia, diramata da
radio Stoccolma, secondo la quale sarebbe previsto il mio trasporto in aereo
nell'Africa del nord per essere consegnato al nemico". Il duce, come egli
stesso ha scritto, "era deciso a non consegnarsi "vivo" agli
inglesi e soprattutto agli americani".
Gueli, quel giorno, confida a Mussolini che
l'avrebbe messo nelle mani dei tedeschi solo nel caso "che fosse arrivato
l'ordine di consegnarvi agli inglesi", idea che poi scarta perché prevede
che ne possa; nascere un conflitto con i carabinieri di Faiola. L'undici
settembre, scrive ancora Mussolini, "tutte le notizie e le voci che
giungevano da Roma indicavano che la confusione era al colmo, mentre procedeva
l'occupazione di tutto il territorio da parte delle truppe tedesche".
Skorzeny e Student sanno ormai dove si trovi
il prigioniero.
Student, nel pomeriggio dell'11 settembre,
decide sotto la propria responsabilità e all'insaputa del comando superiore, di
dare il via all'operazione Eiche: avverrà il pomeriggio del 12 settembre ad
opera del primo battaglione del settimo reggimento paracadutisti, appartenente
alla seconda divisione germanica, al comando del maggiore Otto Harald Mors. Il
progetto prevede che la prima compagnia, comandata dal tenente Georg von
Berlepsch e di stanza nei dintorni di Frascati, scenda sull'altopiano
dell'albergo di Campo Imperatore con alianti da trasporto, mentre la terza
compagnia, agli ordini del tenente Karl Schulze, occupa via terra la stazione
di base della funivia per garantire il ritorno. In tutto novanta uomini, ai
quali si aggiungono Skorzeny e venti elementi delle sue SS.
Sul Gran Sasso il corpo di guardia
badogliano è composto almeno da una novantina di uomini fra ufficiati,
sottufficiali, carabinieri ed agenti di PS, tutti con armamento individuale. La
forza italiana dispone, inoltre, di quattro mitragliatrici, di otto fucili
mitragliatori "Breda 30" e di più di trenta mitra. Gli ultimi ordini
sono ambigui, il Capo del Governo è fuggito e si è a conoscenza che i tedeschi
tenteranno un colpo di mano. Gueli, non intendendo ostacolare l'azione
germanica, non ha dato istruzioni particolari agli uomini; anzi, ha fatto
accantonare le armi automatiche - chiuse nelle guaine e incappucciate - ed ha
fatto riunire le munizioni - poche, ma non si è curato di chiederne altre - in
una stanzetta del terzo piano e, inoltre, ha ordinato che i cani stiano a
catena negli angoli morti del fabbricato.
Alle 23:30 di quel giorno Student da' gli ultimi ordini a Mors:
comandante dell'operazione è lo stesso Mors, con assoluta libertà d'azione, che
ha in subordine Skorzeny; le SS dipendono dal tenente von Berlepsch. Il
generale, ancora, informa Mors "che Skorzeny avrebbe accompagnato il duce
al Gran Quartier Generale di Adolf Hitler": è probabilmente l'effetto di
un ordine di Himmler, che non intende che Mussolini gli sfugga e che, libero,
possa essere manovrato dagli italiani. In altre parole Skorzeny, raggiunto il
duce, per nessuna ragione deve staccarsi dal suo fianco finché non sia giunto
in territorio tedesco. È facile concludere quanto l'uomo delle SS avrebbe
dovuto fare se Mussolini avesse tentato di sfuggirgli o se fosse stato per
cadere nelle mani dei suoi fedeli in territorio italiano: ucciderlo.
Tre sono i piani definitivi tedeschi per
impossessarsi del duce: sono alternativi e tutti operanti.
Il primo prevede l'occupazione del campo di
aviazione dell'Aquila, da dove giungeranno e partiranno tre aerei tedeschi: uno
per Mussolini e gli altri due per scortarlo ed impegnare il nemico in caso di
attacco. Il secondo dispone che un aereo da ricognizione. Fieseler Storch
("Cicogna") raggiunga un pianoro prossimo alla stazione di base della
funivia di Campo Imperatore: potrà servire ad allontanare il capo fascista una
volta giunto in fondo valle, se le circostanze lo imporranno. Il terzo
stabilisce che Heinrich Gerlach, pilota personale di Student ed asso
dell'aviazione, tenti di atterrare con la "Cicogna" sull'altipiano
sottostante l'albergo di Campo Imperatore.
Lo svolgimento dell'azione fornirà i dati
per decidere di servirsi del modo più opportuno per il rientro. La riuscita
dell'operazione è affidata all'efficienza del collegamento radio tra Mors e
Student che sceglierà, fra le tre possibilità, il progetto operativo.
Mussolini è molto inquieto. Nella notte tra
l'11 e il 12 settembre - forse alle 2:15 del giorno 12 - scrive al tenente Faiola.
Gli dice, fra l'altro: è certo, dal momento che lo ha ascoltato alla radio, che
è imminente la sua consegna . Questa certezza gli viene da tre motivi:
"1° - la
radio tedesca non può inventare una comunicazione ufficiale nemica;
2° - tale comunicazione avviene dopo il colloquio Badoglio - Eisenhower;
3° - il piano [della sua consegna all'avversario] è in relazione coll'invasione
tedesca e colla costituzione - non si sa dove, né come - del Governo Nazional
fascista" Il fatto che non siano pervenuti ancora "ordini in tal
senso, sino ad oggi, non esclude che tu li possa ricevere stanotte o domani. Tu
sai, per dura esperienza, che cosa significhi cadere in mani nemiche. Ti prego
di risparmiarmi tale onta e rovina. Mandami la tua pistola. Grazie e addio.
Mussolini
P.S. Perché una sentinella alla porta del mio alloggio? Ho forse, l'intenzione
di fuggire?"
Temendo poi che il Faiola lo costringa a
desistere dall'insana decisione di sopprimersi, subito - com'egli stesso scrive
- "provo e constato che le lame di un rasoio Gillette
erano sufficienti per aprirsi le vene". Si taglia, dunque, le
vene del polso sinistro. Il piantone, carabiniere Francesco Grivetto, udito
qualche rumore, entra, vede il sangue e si precipita a fermare il suicida in
atto di recidersi anche l'altro polso. Irritatissimo, Mussolini gli indica il
biglietto per Faiola e si fa togliere le lamette. Corre il Grivetto dal Faiola,
lo sveglia, gli consegna lo scritto, gli narra l'accaduto. Il tenente si
precipita dal prigioniero: lo trova agitatissimo, vestito, sanguinante. Lo
medica sommariamente, gli sequestra quanto c'è di metallico e di tagliente e,
per confortarlo - come narra lo stesso Mussolini - gli dice: "Fatto
prigioniero a Tobruk, dove fui gravemente ferito, testimone delle crudeltà
britanniche sugli italiani, io non consegnerò mai un italiano agli inglesi. Lo
giuro sulla testa del mio unico figlio". E le lacrime gli scendevano sul
suo volto, dopo queste parole. Il resto della notte trascorse
tranquillamente".
I carcerieri, per rassicurarlo, decidono di
trasferirlo in una casa a qualche chilometro, sulla montagna.
IL 12 SETTEMBRE 1943
Prime ore del mattino. Campo Imperatore
"Una fitta nuvolaglia biancastra
copriva le cime del Gran Sasso, ma fu tuttavia possibile avvertire il passaggio
di alcuni velivoli. Mussolini sentiva che la giornata sarebbe stata decisiva
per la sua sorte" (Mussolini, Storia di un anno).
Mattina. Roma e Pratica di Mare
I tedeschi prelevano a Roma il generale
Fernando Soleti, comandante del Corpo degli agenti di polizia, e lo conducono a
Pratica di Mare. Qui Student, presente Skorzeny, gli chiede a nome di Hitler
"di prestare la sua opera per evitare per quanto possibile uno spargimento
di sangue, partecipando alla liberazione del duce". Rifiutandosi
l'italiano di dare informazioni su Mussolini, viene congedato e trattenuto.
Successivamente Student gli mostra una
fotografia aerea di Campo Imperatore: il luogo appare deserto. Alla domanda se
ne fosse avvenuto lo sgombero, Soleti risponde che ciò "poteva essere
possibile". Student ribatte avvertendolo che lo costringe a seguire la
spedizione dei paracadutisti sul Gran Sasso: "però, comunque, lo riteneva
responsabile se fosse derivato qualche danno alla persona di Mussolini".
Ore 10. L'Aquila
Rodolfo Biancorosso, prefetto dell'Aquila,
telefona a Gueli: vuole vederlo alla base della funivia del Gran Sasso.
Ore 11 circa. Pratica di Mare
Atterrano i primi alianti destinati
all'operazione Eiche. Si riforniscono di benzina gli aerei HS l23 che li rimorchiano.
Ore 11:30 circa. Villetta del Gran Sasso
Gueli scende alla stazione di base della
funivia. Il prefetto Biancorosso gli comunica di prevedere un attacco
all'albergo: farà, perciò, bene a condurre Mussolini altrove. Scrive
l'ispettore: "mi mostro sicuro del fatto mio e dico che non è il caso di
cambiare sede".
Ore 12 circa. Campo Imperatore
"Il sole stracciò le nubi e tutto il
cielo apparve luminoso nella chiarità settembrina" (Mussolini, Storia di
un anno).
Ore 12:30. Pratica di Mare
Improvviso bombardamento nemico
sull'aeroporto: danni a una grande pista di decollo, ma senza conseguenze per
gli aerei a terra. L'allarme cessa pochi minuti prima delle tredici.
Ore 13 circa. Campo Imperatore
Gueli risale all'albergo. Il personale
civile e gli uomini della funivia sono in allarme: molti vorrebbero andarsene,
lo avverte il maestro di sci Domenico Antonelli. "Lo rassicuro"
scrive Gueli "e non dico nulla a Faiola per evitare che rinforzi il
servizio esterno".
Ore 13. Pratica di Mare
Decollo dei dodici alianti destinati al Gran
Sasso, comandati dal sottotenente Elimar Meyer - Wehner. Gli aerei che li
trainano sono agli ordini del tenente Johannes Heidenreich.
Sull'aliante dove sono Skorzeny e Meyer -
Wehner è fatto salire il generale Soleti, disarmato e riluttante.
Ore 13:30. Campo Imperatore
Gueli riceve una telefonata dal questore
dell'Aquila, che gli legge questo telegramma da Roma: "Raccomandare
ispettore generale Gueli massima prudenza. Capo polizia Senise". Gueli fa
ripetere e scrivere questo testo, poi chiama Faiola che giunge con la
guardia addetta alla persona di Mussolini, maresciallo maggiore Osvaldo
Antichi, e gliene dà comunicazione. "Mi domandano la mia
interpretazione" scrive, "dico chiaro che non può significare altro
se non che, al caso, bisogna evitare spargimento di sangue. Devo ritenere che
ciò corrispondesse alla loro aspirazione, perché ho notato nelle espressioni di
entrambi, specie del Faiola, un senso di sollievo. Dopo di che pranzo e vado a
riposare". È sicuro che il colpo di mano si verificherà domattina.
Dichiara Faiola: "A tavola
parlammo dell'eventualità di un intervento liberatore da parte germanica.
Decidemmo, di pieno accordo, che avremmo ceduto senza contrastare in alcun
modo".
Anche Mussolini è nella. sala da pranzo. Non
ha toccato cibo e passeggia nervosamente. Infine se la prende con un certo
Nisio De Laurentiis che riferisce: "m'incolpò d'averlo preso in giro con
il mio stupido solitario". Infatti, leggendo le carte, gli ha predetto che
"sarebbe stato liberato in circostanze piuttosto romanzesche". Mentre
il duce lo "rimproverava per la falsa profezia, udimmo il rombo di un
motore. Un aereo sbucò dalle cime del Gran Sasso".
Poco prima delle ore 14. Cielo del Gran
Sasso
Il convoglio aereo dell'operazione Eiche giunge
nel ciclo di Campo Imperatore. Per motivi inspiegabili i primi tre
rimorchiatori hanno sbagliato rotta: sono dunque disponibili solo nove alianti.
I velivoli sorvolano l'obbiettivo per distribuirsi le zone di atterraggio. I
luoghi si distinguono perfettamente e si vede molto bene la colonna degli
autocarri con i paracadutisti che avanza, fra nuvole di polvere, nella valle in
direzione della stazione di base della funivia.
Dopo un passaggio gli aerei si allontanano
dietro lo sperone del monte, per far credere agli italiani che il loro
obbiettivo non sia Campo Imperatore.
Poco prima delle ore 14. Valle oltre
Assergi e stazione di base della funivia
Il reparto dei paracadutisti tedeschi in
avvicinamento a terra, oltrepassato Assergi e girata la curva che precede il
chilometro 18, apre il fuoco contro una guardia forestale, certo Pasqualino Di
Tocco, che sta accorrendo per dar mano al posto di blocco. L'uomo è ferito e
morirà il giorno dopo all'ospedale civile dell'Aquila.
La stazione di base della funivia viene
occupata da un'avanguardia comandata dal tenente Weber: cade ucciso un
carabiniere, Giovanni Natali, che si trova esposto al fuoco intimidatorio
tedesco, e altri due badogliani sono feriti dalle bombe a mano lanciate dagli
assalitori nelle finestre della palazzina. adiacente allo sbarramento stradale.
Gli italiani, che attenendosi agli ordini non hanno sparato un colpo, sono
disarmati e i tedeschi ne spezzano i moschetti. Quindi i paracadutisti salgono
a gruppi, con la funivia, all'albergo di Campo Imperatore.
Ore 14 circa. Campo Imperatore e cielo
del Gran Sasso
Il maresciallo Antichi riconduce Mussolini
nel suo alloggio e, affacciato con lui a una finestra, aspetta che accada
qualcosa. Nel cielo, frattanto, i rimorchiatori, nascosti dalla vetta,
sganciano gli alianti. Questi, girato lo sperone della montagna, all'improvviso
calano da ogni parte sul pianoro di Campo Imperatore, quasi in picchiata.
Skorzeny, infatti, contravvenendo alle istruzioni di Student, che ha
formalmente proibito una manovra di quel tipo per prender terra perché desidera
un atterraggio con volo planato col massimo di sicurezza, ha imposto le sue
vedute, rivolte evidentemente a ottenere il massimo di sorpresa. La conseguenza
è la perdita di un mezzo, che ha concluso l'operazione sfasciandosi contro le
rocce a trecento metri dagli altri, con contusi e tre feriti: si lamentano la
rottura di una clavicola e di una gamba ed una lacerazione alla fronte.
Gli alianti prendono terra fra le rocce,
tutto intorno all'albergo. Il primo a raggiungere l'obbiettivo è il velivolo di
Meyer - Wehner, con Skorzeny e Soleti.
Ore 14. Campo Imperatore
Mussolini osserva. la scena dalla sua
finestra, a braccia conserte. Scrive: "Un aliante si posò a cento metri di
distanza dall'edificio. Ne uscirono quattro o cinque uomini in kaki, i quali
postarono rapidamente due mitragliatrici e poi avanzarono. Dopo pochi secondi,
altri alianti atterrarono nelle immediate vicinanze e gli uomini ripeterono la
stessa manovra. Altri uomini scesero da altri alianti. Mussolini non pensò
minimamente che si trattasse di inglesi. Per prelevano e condurlo a
Salerno" - dove il nemico era sbarcato nella notte tra l'otto e il nove
settembre - "non avevano bisogno di ricorrere a così rischiosa impresa. Fu
dato l'allarme".
Il suo commento spontaneo, quando si accorge
che si tratta di tedeschi e non di fascisti, è riferito dal maresciallo
Antichi: "Questa non ci voleva".
Alcuni velivoli, fra i quali quello di
Skorzeny, sono atterrati dietro e sui lati dell'edificio.
Faiola è vicino al corpo di guardia, con alcuni sottufficiali. Corre una
sentinella ad avvertirlo; si affaccia sulla soglia e ordina agli uomini di
disporsi a difesa dei posti prestabiliti. Le armi in pugno, carabinieri ed
agenti di PS di corsa escono dal portone, schierandosi contro i paracadutisti;
di corsa Faiola sale da Gueli.
L'ispettore è a dormire nel suo alloggio al
terzo piano. Bruscamente è svegliato dall'autista; sente Faiola gridare; nudo,
si precipita alla finestra e intima di non far fuoco. A Faiola, sopraggiunto
subito dopo, ordina: "Cedete senz'altro". Il tenente si affaccia e a
gran voce ordina agli uomini di non sparare. Gueli si riveste e scende, in
abito scuro e cravatta.
Si apre il portellone dell'aliante di
Skorzeny, davanti a un carabiniere posto sull'angolo dell'albergo. Subito ne
esce, bruscamente sospinto dal mitra di due ufficiali tedeschi che lo seguono,
il generale Soleti, che è costretto a dirigersi verso l'edificio. Quindi il
gruppo avanza in fila indiana.
In una stanzetta isolata sul retro è il
centralino telefonico. Skorzeny e un paracadutista si avvicinano con
circospezione e vi si precipitano dentro: un soldato è all'apparecchio.
Skorzeny con un calcio rovescia sedia e trasmettitore, con l'impugnatura della
pistola mitragliatrice fracassa il mezzo di trasmissione e, immediatamente,
ritorna dagli altri. Di corsa, in fila, gli aggressori costeggiano l'edificio,
voltano l'angolo e si trovano davanti a una terrazza, che è circa tre metri in
alto. Intendono salirvi. Un sottufficiale paracadutista serve da appoggio,
addossandosi al muro e incrociando 1e mani in basso: Skorzeny, seguito da
altri, gli monta sulle spalle e scavalca la ringhiera: pensa forse di penetrare
all'interno per quella via, ma subito dopo salta a terra e raggiunge, con
Soleti e il suo gruppo, la facciata principale.
Sull'altopiano si stanno avvicinando, con
quattro muli, gli uomini destinati a condurre Mussolini sulla montagna.
Frattanto Faiola irrompe dal duce e gli
intima; "Chiudete la finestra e non muovetevi!" Si allontana e
Mussolini rimane al suo posto di osservazione, da dove nota un più folto gruppo
di paracadutisti che ritiene giunti con la funicolare, muoversi compatto verso
l'albergo. Vede con quelli Soleti che procede, pallido, con le mani alzate che
agita, ripetendo con voce stentorea: "Non sparate! Non sparate". Gli
italiani lo scorgono sotto la mira dei tedeschi che, coi mitra pronti a far
fuoco, ostentano grosse bombe a. mano.
Giunto Soleti a circa trenta metri
dall'edificio, grida a un carabiniere che è ad una finestra: " Dov'è il
commendator Gueli? Dov'è Gueli?" Gueli si affaccia e il generale,
concitato, lo diffida dal fare sparare, a1trimenti sarà un massacro. Anche
Skorzeny, servendosi di un interprete, grida: "Il duce è vivo?"
"Vivo" g1i ribattono Gueli e Faiola, sopraggiunto col maresciallo
Antichi. "Subito Mussolini" deve aver gridato Skorzeny al Faiola; e
questi, fuori di sé, gli risponde tra i denti: "Ho avuto l'ordine in
questo momento di consegnarvelo".
L'albergo, circondato ormai completamente
dagli assalitori pronti a far fuoco, è coperto allora dal rombo enorme di
alcuni aerei: sono i rimorchiatori HS 123, che incrociano molto bassi per
proteggere l'operazione degli uomini a terra. Spariti gli aerei, si ode
chiarissima la. voce di Mussolini, dalla sua finestra del secondo piano.
"Gridò, nel silenzio che stava per precedere di pochi secondi il fuoco: -
Che fate! Non vedete? C'è un generale italiano. Non sparate! Tutto è in ordine!
- Alla vista del generale italiano che veniva avanti col gruppo tedesco, le
armi si abbassarono", racconta il duce. Altri affermano che abbia detto a
voce altissima: "Fermi! Non spargete sangue!"
I paracadutisti, dal piazzale, lo
riconoscono e acclamano "Heil!" e "Du-ce! Du-ce! Du-ce!" Skorzeny gli urla di ritirarsi, raggiunge l'ingresso
principale coi suoi e Soleti e, rovesciate due mitragliatrici in postazione ai
lati della porta, fra spintoni e botte col calcio delle armi si apre un varco
tra le guardie, entra dì volata nell'atrio mentre i paracadutisti intimano
"Mani in alto!" al presidio che, compreso il maresciallo dei
carabinieri e il brigadiere degli agenti di PS, viene immobilizzato.
Skorzeny, senza curarsi di quanto accade,
attraversa il vestibolo, imbocca a. caso una scala a destra, sale i gradini a
tre per volta seguito da un nugolo di armati. Allora Faiola lo guida da
Mussolini, seguito da Soleti e dal maresciallo Antichi. L'irruento Skorzeny si
precipita nel corridoio del secondo piano e spalanca la porta giusta. Nella
stanza trova il duce con due uomini che il tedesco, poco pratico dei gradi del
Regio Esercito, ritiene due ufficiali badogliani. Skorzeny, come dichiara
Soleti, ha trovato Mussolini già in mano ai paracadutisti: sono due
sottufficiali che, non riusciti a entrare nell'albergo, si sono arrampicati
lungo il parafulmine penetrando nella camera del duce dalla finestra; la loro
scalata sta terminando quando giunge il travolgente capitano delle SS.
Ore 14:04. Campo Imperatore
Mussolini, in piedi in un angolo, esce
dell'oscurità: vicino gli è l'alto tenente Scwerdt. Skorzeny ordina ai due
arrampicatori di mettersi di guardia nel corridoio; quindi, "sudante e
commosso" - riferisce lo stesso prigioniero - gli si presenta, batte i
tacchi e saluta col braccio teso, apostrofandolo in tedesco: "Duce, il
Führer mi ha inviato qui per liberarvi". Secondo Mussolini, gli avrebbe
detto: "Il Führer, che dopo la vostra cattura ha pensato per notti e notti
al modo di liberarvi, mi ha dato questo incarico. Io ho seguito con infinite
difficoltà giorno per giorno le vostre vicende e le vostre peregrinazioni. Oggi
ho la grande gioia, liberandovi, di avere assolto nel modo migliore il compito
che mi fu assegnato".
Parla come un invasato. La stanzetta si
riempie di gente. Mussolini, con la barba di tre giorni, è descritto dal
maresciallo Antichi "stanco, avvilito, tutt'altro che entusiasta" per
la piega presa dagli avvenimenti; si siede anzi sulla sponda del letto e, senza
alzarsi, replica in tedesco, così che gli italiani non comprendono. Nella sua
versione ufficiale il duce scrive di aver detto: "Ero convinto sin dal
principio che il Führer mi avrebbe dato questa prova della sua amicizia. Lo
ringrazio e con lui ringrazio voi, capitano Skorzeny, e i vostri camerati che
hanno con voi osato". Secondo l'ingegnere tedesco, avrebbe soltanto dichiarato:
"Sapevo che il mio amico Adolfo Hitler non mi avrebbe abbandonato".
Ma non vi sono troppi convenevoli, se pur ve ne sono stati: Skorzeny ha fretta:
teme, infatti, un improvviso attacco aereo nemico, analogo a quello subito a
mezzogiorno e mezzo a Pratica di Mare.
Skorzeny, di nuovo irrigidito sull'attenti,
g1i chiede dove desideri di essere condotto. Testimonia Antichi: "il
prigioniero non si attendeva forse quella domanda; sollevò lo sguardo, ebbe un
attimo di incertezza poi disse "Alla Rocca delle Caminate"". Dà
la risposta in italiano. Soleti aggiunge: "Mussolini confidò ai presenti
che sentiva prepotente il desiderio di rientrare in seno alla famiglia, presso
la quale chiedeva ai tedeschi di essere accompagnato, e che intendeva stabilirsi
alla Rocca delle Caminate, essendo suo desiderio di ritirarsi a vita privata.
Gli ufficiali tedeschi lo assicurarono che sarebbe stato accontentato".
Per la verità i tedeschi non possono accontentar1o. Lo sa bene Skorzeny che,
allora, lo informa di quanto sta accadendo a donna Rachele ed ai figli minori
del duce, Romano e Anna Maria: "nello stesso momento in cui giungevamo
qui" dichiara il capitano delle SS "un secondo "commando"
composto di uomini della mia unità doveva effettuare un'altra operazione per
liberare la vostra famiglia. Sono sicuro che attualmente 1a liberazione è già
avvenuta". Non aggiunge, però, che i familiari del prigioniero hanno come
destinazione la Germania, dove già si trovano i suoi figli Vittorio ed Edda con
suo genero Galeazzo Ciano, e che il piano tedesco prevede che il duce ed i suoi
intimi debbano finire nelle mani di Hitler.
Risponde Mussolini: "Allora tutto è in
ordine" e, stringendogli la mano, aggiunge: "Vi ringrazio di tutto
cuore".
Skorzeny chiede se gli italiani dispongano
di una macchina. C'è quella di Gueli. L'autista si presenta. "Lei prenderà
la roba del duce e la porterà alla Rocca delle Caminate", ordina il
capitano delle SS. Un carabiniere raduna gli appunti e le poche lettere del
prigioniero, "la scarsa biancheria, i libri, il ritratto del figlio Bruno,
che era stato accanto al suo letto nei giorni di Ponza e della Maddalena",
come dichiara Antichi, ne fa un pacco e lo lega con uno spago. Intanto i feriti
tedeschi dell'aliante vengono trasportati nell'albergo su materassi.
Ore 14:15 circa. Villetta del Gran Sasso
e Campo Imperatore
Il maggiore Mors, giunto alla stazione di
base della funivia, viene a sapere via radio del felice esito dell'operazione,
che comunica a Student; poi, con la funicolare, accompagnato da una ventina di
uomini, sale all'albergo. Antichi lo descrive come un "biondino basso,
esile, l'opposto di Skorzeny". Alla stazione superiore d'arrivo lo aspetta
Berlepsch: i due, con passo tranquillo, si avviano all'edificio dov'è Mussolini.
La prima "Cicogna", destinata a
trasferire il duce, è riuscita ad atterrare vicino alla stazione dl base della
funivia, ma nella manovra ha subito danni alla. coda e non può riprendere
subito il volo. L'aeroporto dell'Aquila, inoltre, non è stato occupato per un difetto
di collegamento radio, che ha impedito a Student di dare l'ordine necessario.
In volo, è la "Cicogna" di Gerlach.
Ore 14:20 circa. Campo Imperatore
La "Cicogna" di Gerlach deve
atterrare sul piccolo pianoro sotto l'albergo. Carabinieri e paracadutisti, in
fretta, adattano alla meglio la pista sgombrando gli ostacoli dal terreno.
Finalmente Gerlach, con abilità e leggerezza, atterra sotto gli occhi del
sopraggiunto maggiore Mors e dell'ammirato Skorzeny.
Ore 14:30 circa. Campo Imperatore
Il tenente Faiola ordina al maresciallo capo
Oreste Daini di bruciare le carte riservate, che il primo conserva in camera.
Il presidio italiano - al quale Skorzeny ha intimato una resa formale, con un
minuto per la risposta - viene disarmato. Racconta Mors: "la guardia
Italiana consegna le armi con lentezza e indifferenza. Parecchi degli uomini
che la compongono gettano allegramente i loro fucili nell'abisso. Hanno l'aria
contenta e scherzano con i soldati tedeschi". Per festeggiare la riuscita
dell'impresa Skorzeny chiede e fa distribuire vino per tutti soldati.
Quando Mors sale al secondo piano trova un
Mussolini ben diverso da quello che aveva visto nel l937: "Oggi scorgevo
un uomo malato, stanco, irriconoscibile, con le guance scavate e mal rasate,
sconvolto dagli avvenimenti degli ultimi mesi, indeciso di fronte ai soldati
tedeschi che l'acclamavano e dì cui sapeva solo che volevano liberarlo. Mi
avvicino e mi presento a lui come il comandante responsabile delle truppe
impegnate nell'azione; gli annuncio che lo condurremo immediatamente da Hitler,
al Gran Quartier Generale. Mi tende la mano, mi ringrazia in tedesco con parole
calme e gentili. Aggiunge: "sapevo che il Führer non mi avrebbe
abbandonato". Quando gli chiedo di uscire dall'albergo e di farsi
fotografare, non sono affatto sorpreso della sua risposta: "Fate di me ciò
che volete". Mi sembra di capire bene che con questa liberazione non è la
libertà che gli viene resa, e neppure la possibilità di decidere". Anche a
Skorzeny il duce è apparso "molto invecchiato. A prima vista, sembra
colpito da una grave malattia".
Il prigioniero racconta ai sopraggiunti i
particolari del suo arresto. Il generale Soleti gli accenna la sua avventura
della mattina e si dichiara "felice di aver contribuito alla liberazione
di Mussolini e di avere, forse, con la sua presenza, evitato un sanguinoso
conflitto. Disse a Mussolini" - è lo stesso duce che scrive - "che
non era consigliabile tornare immediatamente a Roma, dove c'era
"un'atmosfera di guerra civile"; diede qualche notizia sulla fuga del
Governo e del Re; venne ringraziato dal capitano Skorzeny e poiché il Soleti
chiese che gli fosse riconsegnata la pistola, il suo desiderio fu accolto, così
come l'altro di seguire Mussolini dovunque fosse andato".
Il duce dichiara a Gueli e a Soleti di avere
avuto una premonizione di quanto sarebbe accaduto, dal momento che aveva visto
un apparecchio sorvolare Campo Imperatore.
A richiesta di Skorzeny, Mussolini risponde
che desidera che lo seguano Gueli, Soleti e Faiola; ma quest'ultimo, nonostante
l'insistenza del duce, non accetta neppure di accompagnarlo alla Rocca delle
Caminate. Anche Antichi rifiuta di partire al suo seguito. "Va bene, caro
Antichi, va bene. Mi ricorderò di te", ribatte in tono benevolo Mussolini.
Poi scende, fra i tedeschi che lo
sostengono. Non ha cappotto. Corre a prenderlo la cameriera Lisé (Lisetta)
Moscardi. Quando glielo consegna, Mussolini "nel ringraziarmi - racconta
la donna - mi abbracciò fortemente, salutandomi con cordiali espressioni. Non
seppi trattenere il pianto".
Ore 15. Campo Imperatore
Il duce
giunge alla porta dell'albergo. Indossa un ampio soprabito nero sopra un abito
blu scuro troppo largo, ed ha un cappello calato sugli occhi.
All'uscita saluta tedeschi e italiani; fa
avvicinare questi ultimi, a loro volta prigionieri, ed a molti stringe la mano.
Gli appaiono "attoniti. Molti sinceramente commossi. Taluni anche con le
lacrime agli occhi", come scrive. Testimonia Mors: "Mentre avanza con
un sorriso stanco, mi chiede di fargli un piacere. Sono lieto di fare qualcosa
per lui. "La prego", mi dice, "metta in libertà le mie guardie.
Sono state buone con me". Glielo prometto e lui mi ringrazia con aria
assente". La Moscardi lo vede rivolgersi ai carabinieri e agli agenti di PS
che, sul piazzale, gli sono intorno: "Figlioli, Dio vi benedica. Mi
ricorderò sempre di voi tutti", dice loro.
Sulla porta Bruno von Kayser, corrispondente
di guerra dell'Illustrierte Beobacher, riprende la scena con una macchina
cinematografica. Scatta anche fotografie a Mussolini, che sorride di
malavoglia.
Intanto italiani e tedeschi seguitano a
ripulire dalle pietre la pista dov'è atterrata la "Cicogna" che ora
deve decollare. Quando Mussolini si avvicina all'aereo, ne scende il pilota,
capitano Gerlach: gli si avvicina, si presenta. È giovanissimo. Il duce lo
abbraccia. Parlano. È con loro Mors.
Testimonia Gerlach: "Quando il maggiore Mors mi
presentò a Mussolini e gli disse che lo avrei portato in volo a Pratica di
Mare, il duce non sembrò entusiasta dell'idea. Espresse, infatti, il desiderio
di scendere a piedi all'Aquila. Gli dissi che era impossibile, perché
all'Aquila si trovavano soldati badogliani. Acconsentì, allora, a salire
sull'aereo. Fu a questo punto che venni avvicinato da un ufficiale delle SS,
che seppi più tardi essere Otto Skorzeny. Mi pregò di prenderlo a bordo".
La richiesta è respinta energicamente dal
pilota, che la ritiene irrealizzabile: pensa che sia quasi impossibile che il
piccolo ricognitore riesca a decollare con tre persone, di cui una della stazza
del capitano delle SS. Quest'ultimo gli ribatte che si tratta di una consegna
esplicita di Hitler. Testimonia Gerlach: "ricordo quanto mi disse per
convincermi: "Caro camerata, tu ora ti stai prendendo una grande
responsabilità. Non si sa mai che cosa può succedere. In casi come questi è
meglio essere in due. Un ufficiale delle SS al tuo fianco può sempre essere
utile". Mi lasciai convincere".
Mussolini è issato sul Fieseler Storch quasi
di peso. Sistemare poi Skorzeny è un problema. Narra Gerlach: "Era grande
e grosso: pesava più di cento chili. Per salire a bordo dovette incastrarsi
dietro a Mussolini in una posizione molto scomoda".
La pista di decollo è brevissima. I militari
riescono ad allungarla, arretrandola dì qualche metro; verso la valle termina con
un salto piuttosto profondo.
Si avvia il motore dell'aereo. Acclamano i
presenti, compresi gli agenti di polizia, che salutano romanamente al grido
"Du-ce! Du-ce! Du-ce!" Gli uomini
trattengono la "Cicogna" per la coda e per le ali, e il motore
dell'aereo è avviato al massimo. Finalmente, a un segnale del pilota, quelli a
terra mollano la. presa e il velivolo parte rullando e saltando sulle piccole
rocce emergenti dalla pista mentre Skorzeny, aggrappato ai tubi
dell'intelaiatura, tenta di imprimere dall'interno alla "Cicogna" un
certo slancio. Narra quest'ultimo: "la ruota sinistra del carrello
d'atterraggio urta ancora una volta violentemente contro il suolo;
l'apparecchio si inclina leggermente sul davanti e ci troviamo al limite della spianata.
Slittando verso sinistra, la "Cicogna" precipita nel vuoto".
È una partenza disperata.
"Praticamente", dichiara Gerlach, "finimmo nel precipizio, ma
alla fine riuscii a prendere quota". E il maggiore Mors: fu "un capolavoro
unico. Nonostante la nostra esperienza di aviatori, siamo stati col fiato
sospeso nel vedere il velivolo vacillare all'estremità della pista e sparire di
colpo nell'abisso". La ruota sinistra del piccolo ricognitore si è
danneggiata urtando contro un sasso, ed è fuori uso. Mussolini sembra estraneo
a quanto accade: è moralmente molto abbattuto. Poco dopo si rivolge a Gerlach:
"Anch'io sono pilota. In Russia" gli dice "ho guidato l'aereo
del Führer". Parla un tedesco sommario e l'altro stenta a capirlo.
Racconta Skorzeny: "Volando appena a
trenta metri dal suolo, la "Cicogna" fila rapidamente e raggiunge il
limite oltre il quale ha inizio la depressione di Avezzano. Questa volta siamo
proprio in salvo. Certamente siamo tutti e tre alquanto pallidi".
Verso le ore 15:30. Campo Imperatore
Il Maggiore Mors comunica al Gran Quartier
Generale di Hitler: "Ordine eseguito. Duce arriva in aereo".
Berlepsch riferisce a Mors, in un preciso
rapporto, sull'andamento dell'operazione, non nascondendo il modo autoritario e
arrogante assunto dal capitano delle SS nel corso dell'azione.
Poco dopo le ore 17. Pratica di Mare
La "Cicogna" giunge nel cielo
dell'aeroporto con enorme ritardo, tanto che a terra si sono rassegnati
all'idea dell'insuccesso dell'operazione. È probabile che ritengano perduto il
piccolo aereo.
Nel prendere terra, Gerlach grida:
"Attenzione, tenetevi bene stretti: la discesa avverrà in due tempi".
Testimonia Skorzeni: "Avevo dimenticato che il carrello d'atterraggio
dell'apparecchio era rimasto danneggiato. La "Cicogna" prende
lentamente contatto col suolo, saltellando, appoggiandosi alternativamente
sulla ruota sinistra e sullo sperone di coda; percorre un breve tratto sulla
pista e poi si ferma. La manovra è riuscita perfettamente; abbiamo avuto
veramente fortuna dal principio alla fine di questo volo avventuroso. Veniamo
accolti con manifestazioni di giubilo dall'aiutante di campo del generale
Student".
Sera del 12 settembre 1943
Comunicato stampa dell'agenzia Stefani.
"Dal Quartier Generale del Führer, dodici Reparti di paracadutisti e di
truppe di sicurezza germanici, unitamente a elementi delle SS, hanno oggi
condotto a termine una operazione per liberare il Duce, che era tenuto
prigioniero dalla cricca di traditori. L'impresa è riuscita. Il Duce si trova
in libertà. In tal modo è stata sventata la sua progettata consegna agli
Anglo-americani da parte del Governo Badoglio".
INCONTRO CON HITLER
14 settembre 1943
Ore 14:30. Rastemburg, Prussia Orientale.
Gran Quartier Generale del Führer ("Tana del lupo").
Mussolini - volto pallido sotto il cappello
scuro, solito cappotto nero troppo grande - scende per primo dall'aereo, fa il
saluto romano e si dirige sorridendo, verso Hitler che lo aspetta col seguito
all'esterno del suo bunker. Abbraccia suo figlio Vittorio, che lo attende. Si
avvicina al Führer, si stringono la mano, si abbracciano. Poi riceve l'ossequio
delle altre autorità militari e civili germaniche.
PRIMO COLLOQUIO
Testimonianza di Mussolini a Carlo
Silvestri
"Appena
Hitler mi vide, mi abbracciò. Mi sentii morire quando tralasciò i convenevoli
ed impostò il discorso sulla situazione italiana. Io ero stanco, sfiduciato,
depresso e temevo persino di essere ammalato di cancro", tanto che
"non avevo voglia di parlare, di discutere, ma soltanto di riposare.
Invece dovetti ascoltare subito il Führer. Egli entrò in argomento così:
"Non bisogna perdere una sola giornata di tempo. È indispensabile che già
entro la giornata di domani voi annunciate alla radio che la monarchia è
deposta e che sorge lo Stato fascista italiano, i cui poteri dovranno essere
accentrati nella vostra persona, che così si renderà garante, e non è possibile
accettare altro garante, della piena validità dell'alleanza fra la Germania e
l'Italia".
Fernando Mezzasoma, appunti
"sostanzialmente autentici"
"Il tedesco prega Mussolini di
rispondere francamente alla sua domanda: "L'Italia pensa giuste le sue
parole o vuol combattere per uno scopo che non vuol confessare? Cioè salvare il
salvabile o tener fede ad un impegno d'onore?" Il Duce risponde "Sì.
L'Italia ha perduto e cercherà di salvare il salvabile, ma soprattutto terrà
fede alla sua parola: non ostacolerà la Germania nei suoi disegni"".
"Il Führer
allora chiede se egli vuol tornare al suo posto per combattere fino in fondo la
sua battaglia con l'amico. Mussolini risponde "No": vuol ritirarsi a
vita privata perché pensa che il suo ritorno nella penisola a capo del governo
vorrebbe dire far nascere la guerra civile e fratricida. Egli darà solo il suo
pieno appoggio morale per la lotta antibolscevica. Pensa che gli italiani
devono andare in Germania per combattere a fianco dell'alleato, ma pensa anche
che le forze tedesche si devono ritirare dall'Italia.
"A tal punto
Hitler, irosamente, risponde che le ritirate non sono nei suoi piani, che gli
italiani hanno tradito e che li punirà, che pensa di costituire un Governo
fascista con Farinacci, Graziani e Ricci, Governo che porterà l'Italia fascista
alla riscossa con le armi germaniche che prossimamente riprenderanno, con nuovi
mezzi, l'offensiva".
Joseph Paul Göbbels, Diario:
Evidentemente il Duce non ha "tratto
dalla catastrofe italiana le conclusioni morali che il Führer si era aspettato
da lui". Le conclusioni morali hitleriane sono "che, per prima cosa,
il Duce si preoccupasse di vendicarsi ampiamente su chi l'aveva tradito. Ma
Mussolini non ha dato a vedere di voler far nulla di simile, e con ciò ha
dimostrato quali siano i limiti oltre i quali non saprà mai andare. Non è un
rivoluzionario come il Führer e Stalin. È così legato alla sua italianità che
gli mancano le qualità del rivoluzionario e del sovvertitore mondiale".
Difatti non intende spargere sangue.
Mezzasoma, appunti
"Il duce definisce traditori i politicanti;
rifiuta. di affermare che gli italiani, i poveri italiani morti, siano
traditori dopo una guerra che ha sconvolto il loro paese. Essi non hanno
combattuto contro i tedeschi, non li hanno attaccati; dovevano difendersi dai
loro attacchi. Sottolinea che è indimostrabile il contrario".
Mussolini a Silvestri
"Scongiurai il Führer di lasciarmi
qualche giorno per riflettere. Ma egli soffocò la mia voce, elevando il tono
della sua: "Ho già riflettuto abbastanza. Voi dunque ridate valore
all'alleanza fra i nostri due paesi, non denunciata ma soltanto tradita,
annunciando la costituzione dello Stato fascista italiano; e ve ne riproclamate
Duce. Sarete così, come lo sono io, contemporaneamente Capo dello Stato e Capo
del nuovo Governo, alla. cui costituzione occorre provvedere entro una
settimana"".
Mezzasoma, appunti
"Adesso il dittatore germanico parla
ininterrottamente per un'ora di seguito. Dichiara che le sue intenzioni sono
già decise e che nessuno riuscirà ad ostacolarlo: il Governo fascista è già pronto
con presidente Farinacci. Egli ha fatto liberare il Duce per rimetterlo a capo
dei suoi e per riportarli al combattimento; ma se il Duce vorrà ritirarsi a
vita privata, egli sarà molto spiacente di agire duramente, ma dovrà farlo con
energia per evitare il crearsi di situazioni dannose per il Reich.
"I fascisti attendono Mussolini: il suo
ritiro significherebbe per essi la chiara constatazione che il loro capo non
crede nella vittoria. germanica. Può anche essere vero questo, dice Hitler,
come è vero che tra febbraio e giugno del 43 Mussolini sondò per trattative di
pace. Ma se ciò fosse noto, molti tedeschi, oltre gli italiani, perderebbero
ogni speranza di vittoria. Hitler non permetterà mai ciò; magari Mussolini
scomparirà in qualche modo: forse si dirà che sarà stato ferito, ufficialmente,
durante il volo dal Gran Sasso a Vienna".
Mussolini a Silvestri
Hitler dichiarò: "Non dubito che sarete
d'accordo con me nel ritenere che uno dei primi atti del nuovo Governo dovrà
essere la condanna a morte dei traditori del Gran Consiglio. Quattro volte
traditore giudico il conte Ciano: traditore della Patria, traditore del
fascismo, traditore dell'alleanza con la Germania, traditore della famiglia. Se
fossi al vostro posto forse niente mi avrebbe trattenuto dal fare giustizia con
le mie stesse mani. Ve lo consegno: è preferibile che la condanna a morte abbia
esecuzione in Italia".
Göbbels, Diario
"È ovvio che il Duce non può iniziare
un procedimento penale contro i traditori del fascismo se non è disposto a
punire il proprio genero. Se fosse un uomo di grande calibro rivoluzionario
avrebbe chiesto al Führer l'estradizione di Ciano e avrebbe messo a posto
costui. Non lo farà e questo costituisce por lui un grave impedimento nel
procedere contro gli altri traditori del fascismo".
Mussolini a Silvestri
Ciano "lo difesi presso Hitler con
valide argomentazioni, aggiungendo: "Si tratta del marito di mia figlia
che adoro, si tratta del padre dei miei nipotini" Ma fu fatica sprecata.
Infatti il Führer incalzò: "Tanto più il conte Ciano merita la punizione,
in quanto non solo è venuto meno alla fedeltà verso la Patria, ma alla stessa
fedeltà verso la famiglia".
Mussolini a Filippo Anfuso
Le contestazioni -in difesa di Ciano
giungono "a tal segno che Hitler non insistette più e concluse:
"Capisco, Duce, i vostri sentimenti familiari"".
Göbbels, Diario
"Il Führer ha stentato molto a
convincerlo che per lo meno Grandi ha tradito deliberatamente il Partito
Fascista e il Duce stesso. Sulle prime il Duce non voleva credere nemmeno a
questo. Ma la punizione dei traditori è condizione necessaria per il suo
risorgere. Il gregario non può credere nell'onestà di un fascismo risorto se
coloro i quali hanno portato il fascismo a questa crisi suprema non sono
chiamati a render conto del loro operato".
Mussolini a Silvestri
"Feci appello a tutte le mie risorse
dialettiche per persuadere il Führer a non insistere nella pretesa di volermi
Capo dello Stato e del nuovo Governo. Ormai avevo rinunciato e qualsiasi
ambizione personale: inoltre non credevo ad una possibile resurrezione del
fascismo. Se Badoglio e la monarchia si erano assunti la responsabilità di
scatenare la guerra civile, io non volevo condividere tale responsabilità.
"Ma il Führer replicò alle mie riserve
nei termini seguenti: "Devo essere molto chiaro. Il tradimento italiano,
se gli alleati avessero saputo sfruttarlo, avrebbe potuto provocare il
subitaneo crollo della Germania. Dovevo dare subito un terribile esempio di
punizione per intimidire quelli, tra gli altri nostri alleati, che potessero
essere tentati di imitare l'Italia.
"Ho sospeso l'esecuzione di un piano
già predisposto in tutti i suoi particolari solo perché ero sicuro di potervi
liberare e di impedire così che foste consegnato agli angloamericani secondo il
progetto di Badoglio. Il vostro salvataggio è stato il salvataggio del popolo
italiano. Se l'impresa di Campo Imperatore non fosse riuscita, la mia vendetta
sarebbe stata inesorabile. Il mio piano prevedeva infatti la distruzione totale
di Milano, Genova, Torino e di altri centri minori dell'Italia settentrionale;
inoltre tutte le regioni sotto il controllo militare della Wehrmacht sarebbero
divenute delle vere e proprie zone di occupazione, con l'aggravante che gli
italiani sarebbero stati considerati dei traditori da punire. Ma se voi mi
deludete, io devo dare l'ordine che il piano punitivo sia eseguito".
"La mia delusione raggiunse allora
l'acme, ma la crisi d'incertezza fu breve, anche perché il Führer mi dette
soltanto qualche ora per riflettere".
Mezzasoma, appunti
Le armi per mettere in pratica il
sistematico annientamento dell'Italia settentrionale, Hitler le possiede.
""Armi nuove? Abbiamo armi nuove" egli dice.
"A tal punto nella sala è entrato un
alto ufficiale germanico, incaricato del collegamento per le ricerche delle
armi nuove, e Hitler lo ha pregato di riferire al Duce alcuni particolari sulle
ricerche. L'ufficiale ha parlato degli studi centrati in due sensi: il primo
per armi tattiche, il secondo per armi strategiche".
Uscito l'ufficiale, Hitler insiste sul tema.
"Ha insistito sulla creazione artificiale del radio. Ha detto inoltre che,
in caso di ritiro di Mussolini, egli avrebbe dato ordine di condurre la Guerra
in Italia ferocemente, usando i gas per reprimere eventuali rivolte della
popolazione. Ha infine parlato a lungo della situazione internazionale per
mettere al corrente Mussolini, che ha noi congedato, avvertendolo di fargli
sapere entro poche ore la sua risposta".
Göbbels, Diario
"Il Führer è rimasto grandemente deluso
dell'atteggiamento del Duce. Io invece sono ben contento. Temevo che l'incontro
fra il Führer e il Duce potesse portare di nuovo a una stretta amicizia, la
quale avrebbe creato difficoltà politiche imbarazzanti per noi. Ma ciò non si è
verificato: al contrario, non ho mai visto il Führer tanto deluso del Duce come
questa volta.
"Ora il Führer sì rende conto che
l'Italia non è mai stata una potenza, che non è una potenza oggi e che non sarà
una potenza nemmeno in avvenire. L'Italia si è degradata come popolo e come
nazione. Questo si accorda con le leggi della natura e coi principi di
giustizia dell'evoluzione storica".
Aggiunge inoltre: "Personalmente
deploro il contegno e l'atteggiamento del Duce. Tuttavia, politicamente ne sono
soddisfatto poiché così molte misure che avremmo messe in pratica risulteranno
più facili per noi. Anche il Führer è convinto che le sole garanzie
territoriali possono darci qualche sicurezza nei confronti dell'Italia".
Prosegue, poco dopo: "Il Duce non si mostrato all'altezza delle nostre
aspettative, sia dal punto di vista politico, sia da quello personale, e con
ciò ha sciupato le sue possibilità future".
Conclude: "Naturalmente non c'è stato
un vero e proprio contrasto tra il Führer e il Duce. Ma il fatto stesso che, secondo
il Führer, il Duce non ha un grande avvenire politico, significa molto, se si
pensa all'ammirazione che aveva per lui". Narrati "i particolari
della sua drammatica crisi personale e politica", conclude Göbbels,
"il Duce ha detto al Führer, con entusiasmo, di aver sempre contato sulla
propria liberazione da parte dei tedeschi. Comunque era deciso a non piegarsi
ai suoi nemici, e piuttosto a togliersi la vita con un colpo di pistola
..."
SECONDO COLLOQUIO. POMERIGGIO
Göbbels, Diario
"Il Duce è sempre in visita dal Führer.
Le conversazioni dei due sono quasi esclusivamente private. Il Duce è in
splendide condizioni fisiche e mentali". E ancora: "La visita di
Mussolini avviene certamente sotto il segno della migliore armonia. Il Führer è
finora soddisfattissimo del risultato delle conversazioni".
Mussolini a Silvestri
"Quando la conversazione riprese, egli
esordì: "Voi siete sfiduciato e credete che la Germania abbia perduto la
guerra. L'avremmo perduta se gli angloamericani fossero stati pronti, già l'otto
settembre, ad eseguire uno sbarco in forze sulla costa ligure, sulle coste
dalmate, a Trieste. Non risulta che essi abbiano ora in corso operazioni del
genere. Gli alleati hanno sciupato un'occasione unica. Dico unica se saprò
togliere per sempre la voglia a Finlandia, Romania, Ungheria e Bulgaria di
tradire come l'Italia ha tradito.
"La Germania è ancora in grado di
vincere la guerra. Abbiamo delle armi diaboliche. La fase sperimentale è già
conclusa. Stanno per essere costruite in serie. I bombardamenti ci disturbano,
ma se rallentano la produzione non la impediscono. Sta a voi a decidere se
l'esperimento di queste armi, di cui potrete accertare, prima di ritornare in
Italia, la tremenda potenza distruttrice, si debba fare su Londra oppure su
Milano, Genova, Torino. Se i quantitativi di armi nuove già disponibili sono
insufficienti per iniziare il bombardamento dell'Inghilterra, essi sono più che
bastanti per radere al suolo i tre principali centri industriale e di traffici
dell'Italia.
"Manterrò quel che vi dico. L'Italia
settentrionale dovrà invidiare la sorte della Polonia se voi non accettate di
ridare valore all'alleanza fra la Germania e l'Italia, mettendovi a Capo dello
Stato e del nuovo Governo. Se non accettate il conte Ciano non vi sarà naturalmente
consegnato: egli sarà impiccato qui in Germania".
Mezzasoma, appunti
Hitler allora conferma la necessità della
"condanna a morte, dopo processo regolare, dei diciannove votanti del Gran
Consiglio del 25 luglio".
Mussolini a Silvestri
"Come potete ben comprendere, questa
ultima minaccia [di impiccare Ciano] mi turbò nei più intimi affetti. Assicurai
Hitler che avrei ripreso in mano la direzione della politica nell'Italia non
ancora invasa".
Mezzasoma, appunti
Hitler "prende atto dell'accettazione
Mussoliniana, soggiungendo di voler subito indicare quali sono le condizioni a
cui il Reich subordina l'aiuto al rinnovato governo fascista. Tali condizioni,
avverte Hitler, erano già state sottoposte a Farinacci nel corso delle
trattative per la costituzione di un governo fascista in Italia, nella zona
occupata dai tedeschi. Farinacci le aveva accettate senza riserve. Ora egli,
Hitler, le porterà a conoscenza di Mussolini, per norma e regola del governo
italiano".
Mussolini ad Anfuso
Hitler confessò di avere anch'egli una
responsabilità "verso i generali tedeschi. "Ho, per anni, garantito
ai miei generali"" disse "che il fascismo era l'alleanza più
sicura per il popolo tedesco. Non ho mai ascoltato la mia diffidenza verso la
monarchia: per vostro desiderio niente è stato mai intrapreso, da parte mia,
per contrastare l'opera che voi svolgevate a vantaggio del Re". Concluse
affermando: ""non abbiamo mai capito il vostro atteggiamento in
questa metria". Hitler sottolinea ancora quanto la Germania ha perduto per
colpa dell'atteggiamento ostile della monarchia al fascismo. È la parte più
dura della sua esposizione, perché qui accenna alla necessità di ripagare il
popolo tedesco delle perdite subite".
Göbbels, Diario
"In ultima analisi dobbiamo ricevere
qualcosa in compenso dell'orribile tradimento che l'Italia ha commesso contro
l'Asse".
Mezzasoma, appunti
"Per le riparazioni dovute dall'Italia
alla Germania, si fisserà la cifra alla fine della guerra. Intanto le spese
delle forze tedesche nella penisola saranno a carico dell'Italia".
Ancora "Mussolini chiede: se il
contributo italiano sarà rilevante, le condizioni territoriali saranno
mitigate? Hitler acconsente, alla condizione che l'accettazione di far parte
del Grande Reich europeo sia formale. Il Duce chiede libertà d'azione nella
vita interna italiana e Hitler acconsente, fissando solo la salvaguardia per
Farinacci". Inoltre "il colloquio si dilunga sull'armamento delle
forze italiane, che Hitler vuol dotare di carri armati leggeri".
Mussolini ad Anfuso, prima versione
"Al Quartier Generale" continuò
Mussolini "il Führer riepilogò, com'era sua abitudine, le condizioni in
cui veniva a trovarsi l'Italia dopo la resa; tracciò un quadro preciso delle
misure prese per rimediarne le conseguenze e si soffermò, in linea generale,
sul peso che il popolo italiano ne subiva e ne avrebbe subito. Ma non parlò mai
di riparazioni o rivendicazioni nei confronti dell'Italia".
Mussolini ad Anfuso
"Non sono io che son cambiato, è Hitler
che è cambiato nei miei confronti, dal giorno della resa italiana. Già allora,
nel 1943, non riuscì a nascondere la sua irritazione. Continuamente commentava:
"Avevo promesso al popolo tedesco che il fascismo era così; che l'esercito
italiano era in questo modo!" Badavo a rispondergli che niente era cambiato;
che i buoni italiani eran rimasti; che tutto era da rifare e si sarebbe
rifatto, ma si scorgeva che egli era sotto il peso di una serie di informazioni
una più pessimistica dell'altra sull'animo degli italiani. Comunque, allora, io
gli promisi soltanto di riprendere la lotta, mentre egli mi promise molte cose
di cui finora non ha mantenuto neppure una!"
Mezzasoma, appunti
"Hitler chiede a Mussolini se ha nulla
da controbattere. La risposta è scarna. Ringrazia Hitler per la prova di
amicizia che ha avuto; non ha opposizioni da fare ai progetti di Hitler".
Mussolini a Silvestri
"Discutemmo poi il nome da dare al
nuovo Stato, la cui forma doveva essere necessariamente repubblicana. Il Führer
suggerì "Repubblica fascista italiana", ma io mi opposi, perché consideravo
il fascismo come superato. Dissi invece che bisognava fare appello a tutti gli
italiani all'infuori e al di sopra del fascismo, che bisognava basarsi sul
popolo, eccetera. Hitler insistette nella denominazione da lui proposta, io
nella mia opinione. Indi l'argomento fu accantonato; ma allorché venne ripreso,
egli mi lasciò libero di battezzare la nuova repubblica come avrei
voluto".
Göbbels, Diario
"Il Duce intende dapprima ricostruire
il partito Fascista. Poi, con l'aiuto di questo, vuole iniziare la
ricostruzione dello Stato, a cominciare dal più basso gradino amministrativo. A
coronare la sua opera, si propone infine di indire una Costituente. Il suo
scopo sarebbe quello di deporre la Casa Savoia.
"Il Duce è ancora un poco esitante su
questo passo, perché naturalmente è a conoscenza dei forti legami che uniscono
gli italiani alla Casa reale, e sa che questi legami non possono essere
troncati con leggerezza. D'altra parte, le sue misure dipenderanno moltissimo
dagli sviluppi militari".
Mussolini ad Anfuso
"Parlando con Hitler, a Rastenburg, mi
sono riuscite oscure certe sue frasi sulle difficoltà che avrei trovato per
governare l'Italia. Adesso ho capito quello che intendeva dire. Sono successe
cose che non avrei immaginato! Ma tutto questo non riesce a scoraggiarmi: credo
ancora negli italiani. E anche nel soldato italiano. Quando ho detto a Hitler
che bisognava, subito, rimettere in piedi l'esercito italiano, mi ha assicurato
che mi avrebbe aiutato sino in fondo. È il punto più importante della questione".
Mussolini a Emilio Canevari
"Hitler gli aveva promessi di trarre
quattro divisioni dagli "internati" italiani in Germania", che
sono 520.000.
Mussolini. Nota militare ad Hitler (3
ottobre 1943)
"Mi permetto di insistere, come già
feci al Vostro Quartier Generale, sulla necessità di conservare Roma.. La
perdita di Roma, dopo quella di Napoli, avrebbe una ripercussione enorme
nell'Italia e nel mondo. Questo dal punto di vista politico-militare. Dal punto
di vista militare, metterebbe in possesso del nemico tutti gli aeroporti
dell'Italia centrale, che sono trenta, e quindi più grandi possibilità e
facilità per il nemico di attaccare la Germania meridionale e sud orientale,
nonché il bacino danubiano-balcanico. Sarebbe una vera fortuna se si potesse,
almeno per tutto l'inverno, tenere la linea che fissammo al Vostro Quartier
generale, e cioè la linea monte Circeo - Maiella".
Anfuso, "Roma Berlino Salò" p.
385
"È stato detto e scritto, persino
attribuito a Mussolini, che Hitler gli avrebbe manifestato la sua intenzione di
mettere le mani su Trieste e Trento, persino fino a Belluno". E ancora:
"tutto però fa escludere che Hitler abbia di proposito ventilato a
Mussolini le alternative prospettate".
Mussolini ad Anfuso
""Quando, al Quartier Generale, parlammo
del Mediterraneo" mi disse Mussolini "Hitler specificò che nulla vi
era di mutato per quanto concerneva il compito assegnato all'Italia. Nessuna
preoccupazione doveva sorgere al riguardo, tanto meno -in Adriatico, assicurò
Hitler. Naturalmente, i compiti strategici della Germania dopo la resa di
Badoglio eran tali che si eran dovute risolvere alcune situazioni, come quella
albanese, senza tenere conto degli specifici interessi italiani"".
Göbbels, Diario
"Finché il Duce era fuori di scena
potevano avere mani libere sull'Italia senza alcuna restrizione, e basando la
nostra azione sull'enorme tradimento del regime Badoglio, potevamo imporre una
soluzione di tutti i nostri problemi concernenti l'Italia. A me sembrava che,
oltre il Tirolo meridionale" (le province di Trento, Bolzano e Belluno)
"il nostro confine avrebbe dovuto includere le Venezie. Ciò sarebbe
difficilissimo nel. caso che il Duce rientri nella vita politica". Più
oltre annota: "Un regime sotto la guida del Duce diverrebbe presumibilmente
erede di tutti i diritti e doveri contemplati nel Patto tripartito. Una
prospettiva piuttosto preoccupante".
Mussolini ad Anfuso
"Le mie proteste per l'Alto Adige e la
situazione fattaci a Trieste hanno sempre un fondamento legittimo. Hitler ha
detto:"Dobbiamo vincere la guerra. Vinta la guerra, l'Italia sarà
ristabilita nei suoi diritti. La condizione fondamentale è che il fascismo
rinasca e si vendichi!"
Mussolini replicò a Hitler che accanto al
fascismo era necessario che risorgesse l'esercito: Hitler insisteva che uno
fosse il complemento dell'altro e sottolineava che l'esercito sarebbe nato dal
nuovo fascismo".
Göbbels, Diario
"Il Duce intende creare un nuovo
esercito italiano coi residui del fascismo Ho i miei dubbi sulle sue
possibilità di riuscita. Il popolo italiano non è all'altezza di una politica
rivoluzionaria concepita con ampiezza di vedute. Gli italiani non vogliono
essere una grande potenza. Questa volontà è stata loro inculcata
artificialmente dal Duce e dal partito fascista. Il Duce avrà quindi scarsa
fortuna nel reclutare un nuovo esercito nazionale italiano. Il vecchio
Hindenburg aveva indubbiamente ragione quando disse che nemmeno Mussolini
sarebbe mai riuscito a fare degli italiani altro che degli italiani".
Anfuso, "Roma Berlino Salò" p.
434
"Conoscere Göbbels era apprendere cosa
fosse la Germania nazista. La incarnava più di Hitler, perché in Göbbels si
agitava chiaramente il complesso di invidie ed aspirazioni chiamato poi
dottamente il Werden, il divenire, o il superamento proprio dell'anima
germanica".
Mussolini a Silvestri
"Quando affrontammo la questione degli
uomini che avrebbero dovuto costituire il nuovo Governo, il Führer suggerì
subito di chiamare a farne parte il maresciallo Graziani, e precisò: "Il
maresciallo Graziani non gode la mia fiducia e non mi è affatto simpatico. Lo
stimo per il suo valore fisico, per la sua audacia di combattente, meno per le
sue qualità di stratega. Non gode la mia fiducia anche perché non ha mai goduto
la vostra. Voi stesso, parlandomi di lui in passato, vi siete espresso in
termini severi. Soprattutto non gode la mia fiducia perché i suoi intimi
sentimenti mi risultano antitedeschi. Però ho passato in rassegna con i miei
collaboratori i nomi dei vostri generali che già non risultano schierati dalla parte
di Badoglio e sono venuto alla conclusione che se l'Italia dovrà avere un nuovo
esercito, vi è un solo uomo che possa incaricarsi di eseguire la chiamata alle
armi e, poi, di assumere il comando delle Forse Armate dell'Italia rinnovata.
Quest'uomo è il maresciallo Graziani. Nessun altro generale ho il suo prestigio
e la sua popolarità. L'accettazione di Graziani è condizione indispensabile,
affinché io rinunci al mio piano di rappresaglia, altrettanto come la vostra.
Contro cuore vi chiedo di impegnarvi e di convincerlo, anche se ho la certezza
che ci darà molti e gravi fastidi".
Mussolini confessò che "l'impegno
chiestogli da Hitler lo pose in grave imbarazzo". Era, infatti,
"convinto che Graziani lo odiasse perché nel novembre del 1941 aveva fatto
sottoporre ad un'inchiesta l'operato del maresciallo in Libia e la sua
responsabilità nella ritirata dalla Cirenaica, deferendolo ad una commissione
presieduta dal grande ammiraglio Thaon di Revel e composta dai generali Ago,
Manni e dsal consigliere nazionale Manaresi. Inoltre i loro rapporti diretti
erano interrotti da oltre due anni e mezzo. Perciò misi avanti i nomi dl
Cavallero e del generale Francesco Saverio Grazioli. Ma Hitler non volle
saperne e insistette su Graziani. Di conseguenza feci rilevare che non avevo
possibilità alcuna di agganciare il maresciallo. Allora il Führer mi disse che,
sia pure di malavoglia, si sarebbe incaricato direttamente di convincere
Graziani, concludendo: "Gli farò ripetere quello che ho già detto a voi.
Non ci sono alternative. O Graziani accetta di essere il vostro principale
collaboratore e così, innanzi all'opinione pubblica mondiale, sarà possibile
sostenere la tesi che gli eventi del 25 luglio sono stati opera di un'esigua
cricca di militari, di monarchici e di traditori fascisti legati agli interessi
della monarchia; o non accetta e allora, senza il prestigio e la popolarità del
maresciallo Graziani, il vostro Governo non avrà abbastanza autorità per
rivolgersi alla giovinezza italiana. Il mio è un discorso senza possibilità di
equivoci. O il nuovo Governo della repubblica fascista italiana si impernia sul
binomio Mussolini - Graziani o l'Italia sarà trattata peggio della Polonia.
Peggio, dico, perché la Polonia fu considerata un Paese di conquista; l'Italia
sarà considerata il paese dei traditori senza discriminazione".
Göbbels, Diario
"È commovente pensare come il Duce a
più riprese abbia assicurato al Führer che lui si assume la piena
responsabilità degli sviluppi della situazione in Italia. Ma in tal modo egli
cerca di riabilitare un gran numero di traditori che sono vicini alla sua
persona, il che certamente non giova.
"Il Führer gli ha fatto notare
ripetutamente che lo aveva avvertito in tempo. Il Duce ne ha convenuto, ma allora
non aveva voluto ascoltarlo. Alla fine è andato incontro alla rovina per la sua
eccessiva lealtà verso il Re e la Casa di Savoia, quantunque l'esperienza
avesse dovuto insegnargli che quel Re e la sua Casa non sanno che cosa-
significhi fedeltà. Oggi il Duce ne conviene".
Mezzasoma, appunti
"Hitler legge a Mussolini un elenco di
nomi che, dopo il primo periodo di organizzazione della repubblica, dovranno
essere allontanati dagli incarichi che ricoprono. Fra i nomi si ricordano
Ricci, Pavolini, Vittorio Mussolini, Ezio Maria Gray.
Impone i nomi di Farinacci, Preziosi,
Evola".
Hitler affronta il problema degli internati
italiani in Germania e "passa a parlare, quindi, delle possibili
trattative che potranno intercorrere con gli anglosassoni dopo che sarà
eliminata, secondo un progetto di Himmler in via di attuazione, la frazione
dello stato maggiore [tedesco] favorevole ai russi"; e così il Führer
respinge "il progetto del Duce di entrare in trattative con la
Russia".
Joachim von Ribbentrop
"Allorché Mussolini, dopo la sua
liberazione, venne al Quartier Generale del Führer, Hitler disse con mia
.grande sorpresa in sua presenza di voler intendersi con la Russia. Alla mia
preghiera di darmi istruzioni non diede una risposta precisa, e già il giorno
seguente respinse di nuovo ogni presa di contatto".
Anfuso, "Roma Berlino Salò" p. 387
"Mussolini uscì dunque dai colloqui di
Rastemburg con Hitler nel settembre del 1943, libero di farsi il Governo che
voleva; di rivendicare la piena parità di diritti con l'alleato; di tornarsene
in Italia quando avesse voluto. Nessuna condizione gli venne posta, salvo
quella ovvia ed implicita di restaurare il fascismo".
Göbbels, Diario
Mussolini resta "d'accordo col Führer
di non ritornare per il momento in Italia. Desidera stabilire la sede
provvisoria del suo Governo in qualche punto della Germania meridionale. Si sta
cercando una località adatta. Tutte le nostre misure politiche e militari
rimangono intatte; il Führer ha insistito perché non venga apportato alcun mutamento".
Göbbels, Diario
"Nel complesso, sono lietissimo che il
Führer abbia conservato immutate le sue originali intenzioni. Evidentemente non
si lascia più influenzare da considerazioni sentimentali: Il problema italiano
dev'essere considerato e risolto ex novo.
"Il Führer mi ha riferito
particolareggiatamente la visita del Duce, che ha prodotto su di lui una
profonda impressione. Tuttavia la personalità del Duce non l'ha colpito così
fortemente come nei loro precedenti incontri. Forse la ragione principale è da
attribuirsi al fatto che il Duce, qauesta volta, è venuto dal Führer senza
alcun potere e che il Führer, di conseguenza, lo ha guardato con occhio più
critico".
Aggiunge: "Il soggiorno di Mussolini al
Gran Quartier generale si è svolto in un' atmosfera di grande armonia, se sì
astrae dall'intima riserva del Führer. Possiamo ritenere che il Führer sia
profondamente deluso riguardo alla personalità del Duce. Dobbiamo rallegrarcene
per la nostra futura condotta della guerra. Il Führer non vuol più fare della
personalità del Duce la pietra angolare dei nostri rapporti con l'Italia Egli
ora chiede garanzie territoriali per impedire un'altra crisi".
Mezzasoma, appunti
"I due si accomiatano e Hitler augura
un buon lavoro a Mussolini".
Anfuso, "Roma Berlino Salò" p. 384
"Nessun mutamento introdusse il Führer
nella sua deferenza formale verso il Duce, anzi fece mostra di una certa
premura per elevarne il tono".
FINE
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